«Dividere la Chiesa in un status profetico degli ordini religiosi
o dei movimenti
da una parte
e nella gerarchia dall'altra,
è
un'operazione
a cui nulla
nella Scrittura
ci autorizza»
Prima di approfondire queste idee, va brevemente menzionata una terza proposta interpretativa del rapporto fra stabili ordinamenti ecclesiali e nuove fioriture pneumatiche: oggi vi è chi, rifacendosi all'interpretazione scritturistica di Lutero nella dialettica fra Legge e Vangelo, contrappone volentieri la linea cultico-sacerdotale a quella profetica nella storia della salvezza. Alla seconda sarebbero da ascrivere i movimenti.
Anche questo, come tutto quello su cui abbiamo riflettuto finora, non è del tutto erroneo, ma, ancora una volta, è oltremodo impreciso e perciò inutilizzabile in questa forma. Il problema è troppo vasto per esser trattato a fondo in questa sede. Anzitutto andrebbe ricordato che la legge stessa ha carattere di promessa. Solo perché tale, Cristo ha potuto adempierla e, adempiendola, al tempo stesso «abolirla». Nemmeno i profeti biblici, in verità, hanno mai messo fuori corso la Torà, anzi, al contrario, hanno inteso valorizzarne il vero senso, polemizzando contro gli abusi che se ne facevano.
E rilevante, infine, che la missione profetica sia sempre conferita a persone singole e mai sia fissata in un «ceto» o status peculiare. Tutte le volte che (come di fatto è avvenuto) la profezia si presenta come uno status, i profeti biblici la criticano con durezza non minore di quella che usano con il «ceto» dei sacerdoti veterotestamentari [4].
Dividere la Chiesa in una «sinistra» e una «destra», nello status profetico degli ordini religiosi o dei movimenti da una parte e nella gerarchia dall'altra, è un'operazione a cui nulla nella Scrittura ci autorizza. Al contrario è qualcosa di artefatto e di assolutamente antitetico alla Scrittura. La Chiesa è edificata non dialetticamente, bensì organicamente. Di vero, quindi, c'è solo che si danno in essa funzioni diverse e che Dio suscita incessantemente uomini profetici —siano essi laici o religiosi, oppure anche vescovi e preti— i quali le lanciano quell'appello che nel corso normale dell'istituzione non attingerebbe la forza necessaria.
Personalmente, ritengo che non sia possibile intendere a partire da questa schematizzazione natura e compiti dei movimenti. E questi stessi sono ben lontani dall'intendersi in tal modo. Il frutto delle riflessioni esposte finora è quindi piuttosto scarso ai fini della nostra problematica, ma non per ciò privo d'importanza. Non si arriva alla meta se come punto di partenza verso una soluzione si sceglie una dialettica dei principi. Invece di tentare per questa via, a mio avviso conviene adottare un'impostazione storica, che è coerente con la natura storica della fede e della Chiesa.
[4] La contrapposizione classica tra profeti inviati da Dio e profeti come istituzione si trova in Amos 7,10-17. Una situazione analoga si verifica in 1 Re 22 nel contrasto tra i quattrocento profeti e Michea; egualmente in Geremia, ad es. 37,19; cf. anche J. Ratzinger, Natura e compito della teologia, Jaca Book, Milano 1993, 104-106.
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